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SHUTTER ISLAND Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 marzo 2010
 
di Martin Scorsese, con Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Max von Sydow (Stati Uniti, 2009)
 
L'ultimo Martin Scorsese non ha facilitato - è il meno che si possa dire - il compito della critica. Primo, perché è da almeno vent'anni che al cineasta americano dalla sapienza più ammirata del dopoguerra non riesce il capolavoro del tutto convincente, all'altezza di TORO SCATENATO, L'ETA' DELL'INNOCENZA o CASINO. Secondo, perché SHUTTER ISLAND è una sua opera atipica. Mai, ad eccezione del suo meravigliosamente straniante AFTER HOURS, il regista è sembrato trovare la consolazione inoltrandosi nel limbo del non detto, del manipolabile, di quella terra di nessuno che separa le apparenze dalla realtà; il malessere, la paura che quest'ultima ci infonde dai fantasmi ancora più angosciosi e destabilizzanti che ci trasciniamo appresso nella psiche.

Nuovo, nella carriera gloriosa dell'autore, è anche il fatto di adattare un romanzo poliziesco, e di farlo scivolare su temi politici oltre che morali. Certo, il nazismo delle sperimentazioni di Mengele o dell'orrore totale della liberazione di Dachau che attanaglia i sogni del protagonista; ma pure le derivazioni nella Guerra fredda degli anni Cinquanta del film, fino a quelle più attuali del terrorismo, dei servizi segreti, della violenza cauzionata dallo Stato, da Guantanamo a Abu Ghraib alle quali si finisce inevitabilmente per pensare. Ma a quali mezzi ricorre Martin Scorsese per farci “pensare”? Com'è che, a partire da quell'inizio affascinante con il ferry-boat che spunta da nebbie bluastre e già mentali, sempre meno ci adeguiamo ai due agenti federali (un Leonardo DiCaprio ricettivissimo, sempre più distante dal bamboccio del Titanic; assieme al placido in apparenza Mark Ruffalo), spediti ad indagare su una scomparsa nella prigione-asilo psichiatrico dell'isola a dire poco inquietante al largo di Boston? In parte, perché ciò era già nelle intenzioni del celebre giallo di Dennis Lehane dal quale è tratto il film: lasciare affiorare il dubbio, e meglio ancora non dissiparlo, vale tanto più di molte (impossibili) spiegazioni.

Impressionante nella fisicità del suo approccio all'isola funerea preclusa al resto del mondo che rimanda a quella del celebre dipinto simbolista di Arnold Boecklin, nelle scogliere che precipitano sotto il cielo plumbeo nell'urlo della tempesta, nell'avvicinamento agli edifici di reclusione tra le geometrie dai mattoni lividi di tristi memorie, il film scivola progressivamente in un labirinto altrettanto inquietante, quello mentale. Ma quell'agitata immersione nell'inquietudine è veramente il riflesso di quanto osservato dal protagonista; oppure la proiezione mentale della sua paranoia o, peggio ancora, di una sua insopprimibile colpevolezza?

Padrone di un savoir faire cinefilo incomparabile, Martin Scorsese provoca questa intrigante destabilizzazione grazie alla propria, ed alla nostra memoria cinematografica: il suo sguardo sugli ambienti, sulla luce, il colore, le musiche annulla la scansione temporale che ci separa dalle devastazioni morali del passato. Ricreando le atmosfere del cinema fantastico e horror degli anni Quaranta, rivisitando in chiave contemporanea il cinema di Jacques Tourneur o di Michael Powell, di Lang e di Preminger, Siegel e Fuller, fino ad Hitchcock, Scorsese trasforma la paura che incuteva quel cinema nella paranoia che conduce alla violenza e al genocidio. Nella spirale delle scale a chiocciola che sprofondano nelle costruzioni gotiche del film c'è tutta l'attrazione per uno spazio misterioso tra realtà e fantasia che finisce per costituire il vero motivo di SHUTTER ISLAND.

Tragitto sapiente, non privo di certe cadute, nella grandiloquenza, nel simbolismo talora così evidente, in una manipolazione non sempre lecita nei confronti dello spettatore. Ma che permette di affermare, come il suo protagonista: “ Le ferite, come i sogni, creano i mostri. Meglio vivere da mostro, o morire come un uomo? ”.


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